lunedì 7 aprile 2014

PERCHE' NON RIESCO A CAMBIARE?

Quante volte ci ritroviamo a vivere la speranza che qualcosa cambi? Magari iniziamo ad immaginare come sarebbe bello vivere senza condizionamenti, con maggiore autostima, con più determinazione e meno tristezza. Ma il più delle volte questi pensieri restano solo speranze irrealizzate e ci convinciamo che è impossibile, che noi siamo fatti così, che siamo destinati a vivere in questo modo; o chiudiamo il discorso con una frase mortifera: "questo è il mio carattere!"

Cosa ci blocca? Cosa non ci permette di andare oltre, quando ci sentiamo insoddisfatti e sentiamo il bisogno di apportare cambiamenti alla nostra vita?

Le risposte potrebbero essere tante, visto che sono legate alla nostra storia, alla nostra esperienza della vita, e le ragioni spesso affondano le radici nei primi anni della nostra vita. Eric Berne afferma che da piccoli noi decidiamo come sarà la nostra vita….

Una cosa che certamente boicotta il nostro cambiamento è sicuramente la PAURA!
Pur se insoddisfacente, conosciamo bene il nostro modo di relazionarci con noi stessi e con gli altri, ormai ci è familiare, ma cosa accadrebbe se ci dessimo il permesso di sperimentare altre modalità? 
Oltre alla Paura, un'altra componente importante è comprendere il "vantaggio psicologico" che abbiamo da alcuni comportamenti, ad esempio: se sono triste, tutti si interessano a me; se sono sempre disponibile, tutti mi considerano buono e mi cercano; se sono acido e scontroso, le persone non si aspettano nulla da me quindi non devo sostenere il peso delle relazioni.... e potremmo continuare ancora, visto che ognuno si specializza in qualcosa.

Per questo è necessario spesso un aiuto esterno, ad esempio, un counselor, che non solo aiuta a prendere consapevolezza delle modalità poco funzionali che stiamo portando avanti, ma ci sostiene nel cambiamento e abbassa l’ansia che è generata dalla paura del nuovo.

Purtroppo molti di noi scelgono di continuare a “sperare” che qualcosa cambi, che le cosa vadano diversamente, o si convincono che questa è l’unico modo possibile per vivere.
In questo modo invece, la vita ci sfugge di mano, perché ci togliamo il potere di determinarla e di scegliere, un potere che Dio stesso ci riconosce.

Un suggerimento: iniziate a dirvi ogni giorno: Riconosco il mio valore e mi apro al benessere!
Anche se inizialmente non ci crediamo pienamente, il nostro pensiero inizierà a cambiare e ci darà la forza di iniziare una metamorfosi.


Vi auguro il coraggio del nuovo, il desiderio del diverso, la forza della rinascita!

giovedì 13 marzo 2014

Anche un mattone vuol essere qualcosa







"Cos'è questo? Un mattone! Che altro? Anche un mattone

 vuol essere qualcosa. Anche un comune, ordinario mattone 

vuole essere qualcosa di meglio di ciò che è. 

E' quello che dobbiamo sentire anche noi."

Ognuno di noi ha in se le risorse necessarie per vivere bene, ognuno di noi può essere un capolavoro, un'opera d'arte se solo aprisse la sua consapevolezza al reale valore che ha e non si facesse condizionare dal valore che gli hanno attribuito gli altri o se si aprisse alla possibilità di guardare con occhi nuovi a se stesso.

OGNUNO DI NOI PUO' SCOPRIRE QUALE 

STRAORDINARIA OPERA D'ARTE E' PER IL MONDO E 

PER SE STESSO!

martedì 11 marzo 2014

PUNTI DI VISTA!


Avete mai provato un senso di oppressione? La voglia di libertà?
Spesso ci sentiamo come bloccati, incastrati in alcune situazioni che ci sembrano impossibili da risolvere e viviamo con rassegnazione, vedendo la vita, o quella situazione, come una condanna.

Vi do una bellissima notizia: 
noi abbiamo il potere di rompere tutte le catene e di uscire dalle nostra gabbie, 
se solo lo vogliamo veramente!

Le vere catene, i veri blocchi, sono solo nella nostra mente! Forse abbiamo imparato a non riconoscerci il giusto valore, e restiamo concentrati sul problema mentre ci sfuggono le soluzioni. Vi assicuro che le catene mentali sono più forti di quelle reali, che a volte non esistono affatto. L'errore che facciamo spesso è quello di attribuire invece agli altri la responsabilità della situazione "è colpa sua... se non fosse così... è opprimente..." ma facendo questo ci togliamo potere e non riconosciamo la nostra responsabilità di acconsentire a determinate situazioni.
Solo se prendiamo consapevolezza di ciò che ci blocca possiamo trasformare i nostri "non ci riesco", "non posso" ... ... in possibilità.
Per fare questa operazione è necessario cambiare il punto di vista, la prospettiva dal quale guardiamo la situazione e noi stessi. Se rimaniamo fissi in una posizione non riusciremo mai a vedere il resto del panorama ma solo una piccola parte, quella che cade nel nostro campo visivo.

Un percorso di counseling può servire anche a questo, ma già ognuno di voi può iniziare a cambiare il proprio linguaggio e ad ogni non riesco può sostituire un energico "voglio" e "posso"!


domenica 16 febbraio 2014

LOTTE INTERNE


Ci siamo mai sorpresi di alcune nostre reazioni? Di alcuni sentimenti inaspettati? Abbiamo mai detto: “una parte di me farebbe questo… un’altra parte invece mi spinge a fare quest’altro…”.
Questo avviene perché ci sono parti della nostra personalità che non conosciamo, soprattutto perché non vogliamo conoscere. Spesso ci accade di giudicarle se le vediamo proiettate in altre persone, per cui non accetteremmo che fossero anche in noi. Questo ci porta anche a sopprimerle. L’educazione familiare, il contesto sociale, una certa cultura religiosa… inibisce parti di noi e quindi parte del nostro potenziale. Dimentichiamo che noi siamo sia bene che male, siamo sia buoni che cattivi, dolci e duri, ecc… ecc…
Ogni volta che mettiamo una parte nell’ombra, diventa una minaccia ed emerge quando non vogliamo e come non vogliamo…. Perché tutto ciò che estroflettiamo (cioè che mettiamo fuori di noi come se non ci appartenesse), cerca di tornare in noi in ogni modo e con la stessa forza con cui la scacciamo. Questi sentimenti, desideri, reazioni, che non ci permettiamo di ascoltare e che mettiamo  nell’ombra, ci fanno paura. Il modo migliore per gestirle invece, è quello di portarle alla luce, conoscerle, ascoltare quello che hanno da dirci… solo così diventano familiari e ci obbediscono, perché siamo noi a decidere se, quando e come esperirle. Spesso, integrandole in noi stessi, perdono tutta la forza con cui ci minacciavano e possono diventare, al contrario, delle alleate, perché ci completano. In questo modo aumento il mio potenziale, perché quando avrò bisogno della rabbia per difendere i miei diritti, della seduzione per ottenere maggior vantaggio, del rigore per portare a termine i miei progetti, ecc… ecc… saprò come e dove attingere.


 DISCHIUDI IL TUO POTENZIALE!!!


sabato 25 gennaio 2014

Noi , malati di tristezza

Cari amici, vorrei proporvi parte di una recensione di un libro interessante "L' epoca delle passioni tristi" edito da Feltrinelli, che Umberto Galimberti fece nel Giugno del 2004.



[...]Si tratta di passioni che lasciano le famiglie disarmate e angosciate all' idea di non essere in grado di provvedere al problema che affligge uno dei loro componenti, quindi di non essere una «buona famiglia», quando invece le passioni tristi hanno la loro origine nella crisi della società che, senza preavviso, fa il suo ingresso nei centri di consulenza psicologica e psichiatrica, lasciando gli operatori disarmati. In che consiste questa crisi? Da un cambiamento di segno del futuro: dal «futuro-promessa» al «futuro-minaccia». E siccome la psiche è sana quando è aperta al futuro (a differenza della psiche depressa tutta raccolta nel passato, e della psiche maniacale tutta concentrata sul presente) quando il futuro chiude le sue porte o, se le apre, è solo per offrirsi come incertezza, precarietà, insicurezza, inquietudine, allora «il terribile è già accaduto», perché le iniziative si spengono, le speranze appaiono vuote, la demotivazione cresce, l' energia vitale implode. Per i due psichiatri francesi, e io concordo con loro, tutto ciò è incominciato con la morte di Dio che ha segnato la fine dell' ottimismo teologico, che visualizzava il passato come male, il presente come redenzione, il futuro come salvezza. La morte di Dio non ha lasciato solo orfani, ma anche eredi. La scienza, l' utopia e la rivoluzione hanno proseguito, in forma laicizzata, questa visione ottimistica della storia, dove la triade: colpa, redenzione, salvezza trovava la sua riformulazione in quell' omologa prospettiva dove il passato appare come male, la scienza o la rivoluzione come redenzione, il progresso (scientifico o sociologico) come salvezza. […] L' Occidente, abbandonato il pessimismo degli antichi greci che, a sentire Nietzsche: «Sono stati gli unici ad avere la forza di guardare in faccia il dolore», si è consegnato senza riserve all' ottimismo della tradizione giudaico-cristiana che, sia nella versione religiosa, sia nelle forme laicizzate della scienza, dell' utopia e della rivoluzione, ha guardato l' avvenire sorretta dalla convinzione che la storia dell' umanità è inevitabilmente una storia di progresso e quindi di salvezza. Oggi questa visione ottimistica è crollata. Dio è davvero morto e i suoi eredi (scienza, utopia e rivoluzione) hanno mancato la promessa. Inquinamenti di ogni tipo, disuguaglianze sociali, disastri economici, comparsa di nuove malattie, esplosioni di violenza, forme di intolleranza, radicamento di egoismi, pratica abituale della guerra hanno fatto precipitare il futuro dall' estrema positività della tradizione giudaico-cristiana all' estrema negatività di un tempo affidato alla casualità senza direzione e orientamento. Il futuro da «promessa» è diventato «minaccia». […]
Per dirla con Spinoza, viviamo in un' epoca dominata da quelle che il filosofo chiamava le «passioni tristi», dove il riferimento non era al dolore o al pianto, ma all' impotenza, alla disgregazione e alla mancanza di senso, che fanno della crisi attuale qualcosa di diverso dalle altre a cui l' Occidente ha saputo adattarsi, perché si tratta di una crisi dei fondamenti stessi della nostra civiltà. […]
Certo nessuno si reca a un consultorio psicologico per un adolescente esordendo: «Buongiorno dottore, soffro molto a causa della crisi storica che stiamo attraversando». In compenso i consultori sono quotidianamente sollecitati da genitori e insegnanti che non sanno più come far fronte all' indolenza dei loro figli o dei loro alunni, ai processi di demotivazione che li isola nelle loro stanze a stordirsi le orecchie di musica, all' escalation della violenza, allo stordimento degli spinelli che intercalano ore di ignavia. Come sono riconducibili tutti questi sintomi alla «crisi storica»? La mancanza di un futuro come promessa arresta il desiderio nell' assoluto presente. Meglio star bene e gratificarsi oggi se il domani è senza prospettiva. Ciò significa che nell' adolescente non si verifica più quel passaggio naturale dalla libido narcisistica (che investe sull' amore di sé) alla libido oggettuale (che investe sugli altri e sul mondo). In mancanza di questo passaggio, bisogna spingere gli adolescenti a studiare con motivazioni utilitaristiche, impostando un' educazione finalizzata alla sopravvivenza, dove è implicito che «ci si salva da soli», con conseguente affievolimento dei legami emotivi, sentimentali e sociali. La mancanza di un futuro come promessa non conferisce ai genitori e agli insegnanti l' autorità di indicare la strada. Tra adolescenti e adulti subentra allora un rapporto «contrattualistico» dove genitori e insegnanti si sentono continuamente tenuti a giustificare le loro scelte nei confronti del giovane, che accetta o meno ciò che gli viene proposto in un rapporto ugualitario. Ma la relazione tra giovani e adulti non è simmetrica, e trattare l' adolescente come un proprio pari significa non contenerlo, e soprattutto lasciarlo solo di fronte alle proprie pulsioni e all' ansia che ne deriva. Quando i sintomi di disagio si fanno evidenti l' atteggiamento dei genitori e degli insegnanti oscilla tra la coercizione dura (che può avere senso quando le promesse del futuro sono garantite) e la seduzione di tipo commerciale di cui la cultura berlusconiana che si va diffondendo è un esempio. Senonché anche i giovani di oggi devono fare il loro Edipo, devono cioè esplorare la loro potenza, sperimentare i limiti della società, affrontare tutte le funzioni tipiche dei riti di passaggio dell' adolescenza, tra cui uccidere simbolicamente l' autorità, il padre. E siccome questo processo non può avvenire in famiglia dove, per effetto dei rapporti contrattuali tra padri e figli, l' autorità non esiste più, i giovani finiscono col fare il loro Edipo con la polizia, scatenando nel quartiere, nello stadio, nella città, nella società la violenza contenuta in famiglia. Sono, questi, due esempi dei molti che gli autori del libro illustrano per mostrare il nesso tra il passaggio storico del futuro come promessa al futuro come minaccia e le manifestazioni psico (pato) logiche del disagio dei giovani che non riescono più a percepire l' integrazione sociale, l' acquisizione dell' apprendimento, l' investimento nei progetti, come qualcosa di connesso a un loro desiderio profondo, che è poi il desiderio di desiderare la vita. A ciò si aggiunga che le passioni tristi e il fatalismo non mancano di un certo fascino, ed è facile farsi sedurre dal canto delle sirene della disperazione, assaporare l' attesa del peggio, lasciarsi avvolgere dalla notte apocalittica che, dalla minaccia nucleare a quella terroristica, cade come un cielo buio su tutti noi. Ma è anche vero che le passioni tristi sono una costruzione, un modo di interpretare la realtà, non la realtà stessa, che ancora serba delle risorse se solo non ci facciamo irretire da quel significante oggi dominante che è l' insicurezza. Certo la nostra epoca smaschera l' illusione della modernità che ha fatto credere all' uomo di poter cambiare tutto secondo il suo volere. Non è così. Ma l' insicurezza che ne deriva non deve portare la nostra società ad aderire massicciamente a un discorso di tipo paranoico, in cui non si parla d' altro se non della necessità di proteggersi e sopravvivere, perché allora si arriva al punto che la società si sente libera dai principi e dai divieti, e allora la barbarie è alle porte. Se l' estirpazione radicale dell' insicurezza appartiene ancora all' utopia modernista dell' onnipotenza umana, la strada da seguire è un' altra, e precisamente quella della costruzione dei legami affettivi e di solidarietà, capaci di spingere le persone fuori dall' isolamento nel quale la società tende a rinchiuderle, in nome degli ideali individualistici che, a partire dall' America, si vanno paurosamente diffondendo anche da noi.